
dicembre 2024
Repubblicani e Democratici dichiarano guerra agli immigrati
USA: Mobilitare la forza
della
classe operaia per fermare
le deportazioni

Nelle scuole e nei luoghi di lavoro di New York si stanno formando comitati per la difesa degli immigrati. Sopra: Protesta a New York nel giorno dell' inaugurazione presidenziale, 20 gennaio. (Foto: Kena Betancur / AFP)
Il governo degli Stati Uniti sta per scatenare una guerra contro il popolo lavoratore degli Stati Uniti. Alimentata dall’isteria istigata contro gli immigrati “illegali” descritti come “il nemico interno”, si tratta in realtà di un attacco alla classe operaia e ai diritti democratici di tutti. Per mettere in pratica le deportazioni in massa che ha minacciato, il presidente entrante, il repubblicano Donald Trump, progetta di dichiarare un’emergenza nazionale. I diritti costituzionali, compreso quello a un processo equo, verranno “sospesi” (cioè eliminati) per un enorme settore della popolazione. Contro quest’attacco occorre combattere con le unghie e con i denti, in particolare scatenando l’enorme forza della classe operaia, di cui gli immigrati costituiscono una componente fondamentale, che può fermare la macchina delle deportazioni. E ciò rende necessario combattere entrambi i partiti-complici dell’imperialismo USA, tanto quello democratico quanto quello repubblicano.

Nel suo comizio del 27 ottobre 2024 al Madison Square Garden di New York, il futuro presidente xenofobo Trump ha giurato di mettere in atto “il più vasto programma di deportazione della storia”. Ha definito gli immigrati privi di documenti dei “criminali feroci e assetati di sangue”, descrizione che potrebbe essere applicata con maggior precisione allo stesso governo degli Stati Uniti, compreso il presidente uscente “Genocide Joe” Biden. Il fascista J.D. Vance, futuro vicepresidente, ha dichiarato: “Il nostro messaggio agli stranieri illegali [sic] è: preparate le valigie, perché nel giro di quattro mesi tornerete a casa”. Queste terribili minacce hanno scatenato il panico tra gli oltre 10 milioni di residenti negli Stati Uniti, quelli che hanno sgobbato per anni in alcuni dei lavori più duri e meno pagati, e senza il cui lavoro interi settori dell’economia statunitense sarebbero crollati.
Trump ha affermato di voler utilizzare la Alien Enemies Act [Legge sui nemici stranieri] del 1798, che renderebbe gli immigrati privi di documenti “passibili di essere arrestati, trattenuti e sbattuti in galera”. Potrebbero essere detenuti e deportati senza processo o senza nessuna possibilità legale di fare ricorso. Alcuni liberali pensano che ciò non possa essere fatto senza ricorrere ai tribunali. Ma è un’assurda sciocchezza. Gli Stati Uniti hanno utilizzato quella legge per internare gli immigrati italiani e tedeschi durante entrambe le guerre mondiali, compresi i rifugiati ebrei dalla Germania nazista. E poi ci sono stati i 120.000 giapponesi e cittadini statunitensi d’origine giapponese che, durante la Seconda guerra mondiale, vennero rinchiusi nei campi di concentramento dal presidente democratico liberale Franklin Delano Roosevelt.
Trump ha minacciato di sbarazzarsi della cittadinanza per diritto di nascita stabilita dal 14° emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, conquistata con la guerra civile che ha messo fine alla schiavitù. Ha minacciato di eliminare il Temporary Protected Status (Status di protezione temporanea) grazie al quale molti haitiani possono risiedere legalmente negli USA. Il fatto che non si tratti di vane minacce è dimostrato dalla nomina di un altro ideologo fascistoide a vice-capogabinetto della Casa Bianca, Stephen Miller, il quale ha dichiarato che il presidente entrante avrebbe “sigillato ermeticamente le frontiere” con una serie di ordini esecutivi fin dal primo giorno della sua presidenza. Tom Homan, il quale si diverte a incanalare suo J. Edgar Hoover (capo di lunga data della polizia politica dell'FBI) interiore, è destinato a essere lo “zar delle frontiere” di Trump. (Homan aveva ricevuto un premio dal presidente democratico Barack Obama per il suo zelo nel deportare un numero record di immigrati, facendo guadagnare allo stesso Obama il titolo di “deportatore in capo”).
I democratici si atteggiano a difensori degli immigrati anche mentre trovano delle scuse per assecondare i piani di deportazione in massa di Trump. Il governatore della California Gavin Newsom ha giurato, tra le lacrime, che avrebbe coperto le spalle agli immigrati, promettendo poi, nella stessa intervista, di deportare i “criminali violenti”. Questi ultimi potrebbero includere (com’è accaduto in passato) chiunque figuri nella famigerata lista di “membri delle gang” del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, che comprende chiunque sia tatuato o abbia guardato in malo modo un agente del LAPD (Dipartimento di polizia di Los Angeles). Trump ha minacciato di ritirare i fondi federali alle città che sostengono protezione (assai limitate) agli immigrati privi di documenti, poiché presunte roccaforti della “criminalità degli immigrati”. Il sindaco democratico di New York City, Eric Adams (che chiede da tempo di eliminare le leggi relative all’“santuario”), sta già discutendo su come collaborare la polizia di deportazione.
Gli stessi liberali che pensano che Trump avrà le mani legate nei tribunali sostengono che gli Stati Uniti non dispongono di uno spazio di detenzione sufficiente a contenere gli immigrati rastrellati in vista della deportazione. Eppure il presidente entrante sta già stabilendo accordi per prendere in affitto strutture carcerarie locali e statali, cosa che era stata fatta anche sotto Obama. Già adesso il 90% degli immigrati detenuti è rinchiuso in prigioni private, una percentuale che era aumentata durante l’amministrazione Biden. E il Department of Homeland Security (DHS, Dipartimento della sicurezza nazionale), che comprende le agenzie delle Pattuglie di frontiera degli Stati Uniti e dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE, Controllo dell’immigrazione e delle frontiere), dispone già si una forza di polizia maggiore rispetto a qualsiasi altro ente degli Stati Uniti. Trump intende utilizzarla come la sua Gestapo privata.
Nel frattempo i portavoce del “gruppo di transizione” di Trump hanno fatto sapere che una circolare del DHS che limitava le detenzioni dell’ICE nei “luoghi sensibili”, tra cui scuole, chiese, ospedali e altri siti, sarà annullata, e questo costituirà uno dei primi atti della nuova amministrazione (NBC News, 11 dicembre 2024).
Se le deportazioni verranno effettuate su una scala anche solo lontanamente simile a quella minacciata, il loro effetto sull’economia statunitense sarà enorme. Praticamente tutti gli impianti di lavorazione delle carni nel paese dipendono da una forza-lavoro composta da immigrati, molti dei quali sono privi di documenti. Lo stesso vale per l’edilizia residenziale, per la produzione casearia nel nord-est, per i tassisti di molte città e per i camionisti portuali su entrambe le coste, per non parlare del lavoro agricolo. A coloro che sostengono il programma di deportazione in massa di Trump diciamo: dimenticatevi le vostre bistecche, la frutta e la verdura fresche, per voi non ci saranno più taxi e nuove case, e anche molti dei giocattoli importati dall’estero potrebbero ormai appartenere alla storia. Ma a parte questo, nelle grandi città e nei piccoli centri del paese gli immigrati sono i vicini, gli amici, i compagni di scuola e di lavoro, sono colonne portanti delle comunità locali. La guerra che Donald Trump ha dichiarato, e con la quale i democratici stanno collaborando, avrà un impatto traumatico su tutta la società.
La questione scottante, oggi, è che cosa fare a tale riguardo. Mentre i democratici sono entrati in una profonda depressione, molte persone (tra cui alcuni di coloro che hanno votato per Trump) vogliono resistere alle deportazioni in massa. L’Internationalist Group e le organizzazioni ad esso legate da un’alleanza fraterna hanno lanciato appelli a formare comitati per la difesa degli immigrati nelle scuole e nei luoghi di lavoro in diverse parti del paese.
Nel Pacifico nord-occidentale Class Struggle Workers – Portland ha assunto l’iniziativa di presentare una “Risoluzione per la difesa degli immigrati contro le deportazioni in massa e la violenza razzista”, che è stata approvata da diversi sindacati di quella zona, tra cui il Local 10 dell’IUPAT (imbianchini), il Local 29 degli Ironworkers (lavoratori dell’acciaio strutturale), il Local 28 dell’IATSE (lavoratori teatrali), il Local 11 dell’AFT (insegnanti) e il Local 503 dei Carpenters (carpentieri), per “respingere i vili attacchi contro gli immigrati” e per “invitare il resto del movimento sindacale a mobilitarsi in difesa dei nostri compagni di lavoro”. Nel 2016 i sindacati dell’area di Portland, compresi diversi sindacati degli edili, hanno approvato delle mozioni per difendere gli immigrati, gli afroamericani e altri dagli attacchi razzisti, e nel giugno 2017 “Portland Labor Against Fascists” ha mobilitato circa 300 sindacalisti e sostenitori contro una provocazione fascista pro-Trump.
A New York City, l’Internationalist Club presente all’Hunter College, che fa parte della City University of New York (CUNY), ha riattivato un Comitato per la difesa degli immigrati e dei musulmani che era stato formato nel 2017. Una prima riunione del nuovo Comitato per la difesa degli immigrati, svoltasi in novembre, ha raccolto oltre 70 persone e ha istituito dei gruppi di lavoro, oltre a preparare raccolte di materiale che includono informazioni di “conosci i tuoi diritti”, e altro ancora.
Nelle scuole pubbliche di New York City i sostenitori dei Class Struggle Education Workers (CSEW) all’interno della United Federation of Teachers (UFT, Federazione unita degli insegnanti) hanno proposto la formazione di comitati per la difesa degli immigrati, istituiti dal sindacato, comitati che attualmente sono attivi in diverse scuole. Essi stanno contattando i gruppi di genitori e si stanno preparando ad opporsi a qualsiasi tentativo da parte dell’ICE o di altre autorità federali di deportare gli studenti e le loro famiglie, e ad accorrere in aiuto di coloro che vengono presi di mira da questa guerra razzista contro gli immigrati. È stata redatta una mozione che chiede all’UFT di sponsorizzare simili comitati nel sistema scolastico di New York.

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E poi il 16 dicembre si è tenuta una Conferenza sindacale preliminare per la difesa degli immigrati nell’area di New York City, che ha riunito attivisti e organizzatori di tutta una serie di sindacati e organizzazioni, tra cui il District Council 37 dell’AFSCME (impiegati municipali e statali), i Teamsters (camionisti), la Transport Workers Union (lavoratori dei trasporti), la Coalition of Black Trade Unionists, il Laundry Workers Center, l’UFT, i CSEW, i Trabajadores Internacionales Clasistas (Lavoratorti internazionali classisti), il Local 32BJ della SEIU (lavoratori dei servizi), l’UAW/ALAA, il Professional Staff Congress della CUNY e altri. Le relazioni sulla situazione attuale e sul lavoro in corso, orientato dai sindacati, per la difesa dei diritti degli immigrati, sono state seguite da un dibattito produttivo, comprendente relazioni di particolare interesse sulla formazione di comitati per la difesa degli immigrati in alcune scuole di New York City. Il raduno del 16 dicembre ha invitato all’unanimità i partecipanti a creare comitati di questo tipo nei propri sindacati e luoghi di lavoro, e una seconda “Conferenza sindacale per la difesa degli immigrati” è stata programmata per il 9 gennaio prossimo.
I comitati e la conferenza sindacale hanno sottolineato la necessità di mobilitare massicciamente la popolazione per contrastare le deportazioni in massa. Il movimento sindacale ha la forza di guidare una tale mobilitazione e l’interesse di classe a impegnarsi fino in fondo per difendere i lavoratori, le loro famiglie e i loro vicini. Gli attivisti hanno ricordato gli insegnamenti del Fugitive Slave Act del 1850, quando le forze favorevoli alla schiavitù riuscirono a convincere il Congresso ad autorizzare la cattura degli schiavi fuggiaschi negli Stati non schiavisti del nord e del nord-ovest. Proteste furiose riempirono le strade e gli abolizionisti di Syracuse, nello Stato di New York, misero in libertà un ex schiavo imprigionato.
La risposta più grande si ebbe a Boston, nel 1854, allorché uno schiavo fuggiasco, il diciannovenne Anthony Burns, venne catturato da un cacciatore di schiavi. Masse di persone accorsero per salvare Burns. “Nei giorni successivi, mentre uno sceriffo federale stava decidendo il destino di Burns, le truppe federali – così come i distaccamenti locali e statali mobilitati sulla base della legge del 1850 – trasformarono Boston in una città sotto assedio. All’esterno del palazzo di giustizia di Boston, gli artiglieri allestirono i cannoni e si esercitarono per poter far fuoco sui civili” (Sean Trainor, “What the Fugitive Slave Act Can Teach Us About Sanctuary Cities”, Time Magazine, 7 febbraio 2017).
Ciò che è urgentemente necessaria, oggi, è una mobilitazione di classe indipendente contro le deportazioni in massa, per sostenere la richiesta di pieni diritti di cittadinanza per tutti, e per garantire che tutti coloro che sono giunti negli Stati Uniti possano rimanervi. Quelli che fuggono dalle persecuzioni, dalle guerre e dalle devastazioni causate dall’imperialismo USA devono essere accolti, e i lavoratori devono ribellarsi per fermare coloro che vorrebbero espellerli. ■